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  • Writer's pictureNasoDVino

Il pentagono.

Il pentagono no, non l'avevo considerato.

Per dirla alla Renato Zero (lo so che era un triangolo), ma qui si parla di vino e stavolta invece di parlare io, anzi di scrivere o di raccontarvela come solito fare, apro virgolette e riporto esattamente cosa risponde Paolo De Marchi di Isole e Olena alla domanda che cosa è per te il vino?


Il pentagono lo riprendiamo dopo, but now...


Ubi maior minor cessat


"A me il vino piace perchè... intanto mi piace l'agricoltura. La passione del vino è molto semplice. E' forse il primo prodotto dell'agricoltura per cui l'uomo ha cercato di dare il nome del posto. Quindi del vino mi piace questo legame fortissimo con il posto da cui viene. E l'idea di produrre vino è perchè produciamo uva, siamo frutticultori, ed è una bella soddisfazione fare della bella uva e poi viene distrutta e incominciamo una cosa completamente diversa che è la trasformazione. E poi facciamo un prodotto che confezioniamo, che andiamo in giro per il mondo. Sono pochissimi i prodotti agricoli dove, in identità economiche non grandi, c'è il ciclo completo fino al consumatore e poi questo fortissimo legame con il territorio porta il consumatore a venire a vedere quello che facciamo qua. Io lo chiamo il cerchio dell'origine questo, quando riusciamo a stimolare nel consumatore la voglia di venire qua. A me piace questo fatto qua ecco.


Poi, mi piace assaggiare vini diversi e tutto, ma non sono come ho detto prima né un grande bevitore, non sono un degustatore, nel senso che la mia degustazione deve piacermi punto. Sennò è una degustazione tecnica e io non ho il vocabolario del degustatore, gli aromi, etc...


Io assaggio il vino molto per l'equilibrio e l'armonia e mi piace questo punto.


Per me il vino è questo senso di distruzione di un prodotto per farne rinascere un altro che poi ci sono tante implicazioni in questa cosa no? La rinascita di un prodotto dalla distruzione di uno e poi..


il mito dei vini vecchi.


Il vino è semmai proprio un prodotto umano, non della natura, perchè lo sforzo dell'uomo è fermare il tempo e fermare l'evoluzione. Il mito dei vini che invecchiano a lungo è il mito di fermare il tempo.


Questo è un pochino per me il vino proprio un insieme che va dal terreno alla produzione e poi al consumatore che poi viene qua. Questa cosa di distruggere qualcosa per farne un'altra e poi cercare di bloccare. Non il sogno della vita eterna, è impossibile, anche il vino muore, però il vino che invecchia a lungo è il vino che tutti ammiriamo."

Dopo che ha parlato Paolo di vino, diventa dura, ma riprendiamo il discorso del pentagono. O meglio la teoria del pentagono di Paolo, così affascinante e coinvolgente da poter essere sovrapposta e intersecata con il significato più ampio, trascendente e spirituale che nel corso dei secoli è stato attribuito a tale figura geometrica.


Per la scuola Pitagorica il Pentagono è l'espressione geometrica del numero 5, ovvero dell'unione del primo numero pari femminile il 2 con il primo numero dispari maschile il 3, per cui è associato all'amore coniugale fecondo che porta all'armonia universale.


Ippaso di Metaponto invece, scopritore dei numeri irrazionali, nota che il rapporto dei lati di un pentagono è uguale al rapporto aureo o divino. (vedi l'irrazionale Bonsai Podere le Ripi)


Nel medioevo il pentagono simboleggia addirittura il microcosmo in relazione al macrocosmo, l’uomo in rapporto a Dio, l’aspirazione all’armonia verso l'ordine e la perfezione.


Per ottenere un grande vino, in cui quindi armonia ed equilibrio tendono alla perfezione, occorre che ci sia la giusta connessione ed un corretto bilanciamento fra 5 fattori fondamentali esattamente come i 5 lati di un pentagono.


Tali fattori sono: 3 strettamente correlati alla Natura e stanno alla base del pentagono che ha la punta rivolta verso l'altro, e sono il terreno, il clima, e la genetica, gli altri 2 sono l'uomo e la cultura intesa come tradizione.


Il terreno è il lato in basso, quello su cui poggia tutta l'architettura geometrica cosi come fa la vite. La base. L'uomo non può influire direttamente ma conoscendone nei particolari, la geologia, la geomorfologia, la composizione chimica, la tessitura può e deve sapere che tipologia di vite piantare, che tipo di portainnesto, quali sostanze nutritive incrementare, il tipo di potatura, la scelta del tipo di allevamento... Sottovalutare ciò, compromette inesorabilmente ogni altro aspetto per anni.


Proseguendo alla sinistra della figura, abbiamo il clima. Mentre il terreno una volta individuato e selezionato è sempre quello, il clima rappresenta l'imprevedibilità della Natura, da sempre, oggi con il global warming, ancora di più. Sia a livello di clima generale che di microclima. Ecco che questo elemento fortemente aleatorio da un lato è di difficile gestione, ma dall'altro, fa sì che ogni annata sia diversa l'una dalle altre, unica ed irripetibile, conferendo al vino questo fascino misterioso, divino, appunto.


Alla destra del terreno, abbiamo il lato della genetica. Qui l'uomo può dire la sua, sia selezionando che clonando, pur non potendo però andare a modificare l'essenza stessa naturale di un vitigno. Un Sangiovese, come un Nebbiolo ad esempio, avranno comunque sempre una genetica "debole" cioè, il risultato sarà molto differente a seconda del terroir in cui vengono piantati. Viceversa un Cabernet si adatta molto più facilmente. Stessa cosa nei bianchi per un Muller Thurgau rispetto ad uno Chardonnay. Tuttavia, di qualsiasi vitigno, possiamo andare a selezionare le piante migliori e riprodurre e piantare cloni delle stesse per migliorare la "specie". Questa cosa è stata fatta nei secoli fino ad oggi.


Quarto lato. L'uomo. L'uomo che trasforma l'uva donata dalla natura in vino, distruggendola e iniziando un nuovo processo. Qui è necessaria una bella dose di umiltà, riconoscendo ai primi tre elementi il ruolo essenziale e determinante. L'imprinting di base. L'uomo deve conoscerli, capirli, interpretarli e condurli, guidarli verso la sua filosofia espressiva. Deve essere conscio però che non può mai andargli contro, nè stravolgerli. Successivamente deve saper comunicare correttamente e coerentemente il risultato finale.


A chiudere la figura pentagonale, il tessuto culturale, l'ambiente inteso come comunità di persone, come zone, come territorio in cui si producono determinati vini, ma soprattutto e anche come tradizione. Ovvero, nel concetto più intimo ed etimologico del termine, come trasmissione di informazioni arricchite da nuove esperienze. Quindi una visione di una tradizione dinamica che si muove e si evolve nel corso degli anni, anche grazie a nuove conoscenze scientifiche e perchè no tecnologiche.


Con altrettanta umiltà, certe cose raccontate da Paolo sono di sicuro più tangibili e credibili, vissute nella sua azienda Isole e Olena andando in vigna e in cantina, si concretizzano e ti appassionano ancor di più, quando bevi i suoi vini poi, veramente traduci a livello sensoriale e conseguentemente emozionale tutto ciò. Chiudi così il cerchio dell'origine.


Un cerchio con inscritto un pentagono. Pensaci Paolo. Wine not?

Come ogni educata degustazione richiede, partiamo dal bianco.


Chardonnay collezione privata.


Cosa ci fa uno Chardonnay nel Chianti Classico? Avete presente una rosa bianca in mezzo ad un mazzo di rose rosse? Si nota eccome. Proprio perchè "eccezione" deve esserlo "eccezionale". Pètit Chablis! Una piccola Borgogna nel Chianti. Gli stessi francesi la usano come benchmark di riferimento nelle loro degustazioni di chardonnay. Affinamento di undici mesi in barriques. Elegantemente morbida. Frutta matura, albicocca e pesca gialla, piena e polposa tuttavia fresca e sempre piacevole. Da abbinare ad un piatto di pesce nobile ma anche da meditazione. Chapeau.


Paolo, quando apri la 1999 ricordati di invitarmi.


Torniamo nel Chianti con la massima espressione del Sangiovese in purezza nel Cepparello.

Solo le migliori uve possono diventare nobili nel Cepparello; la "leggenda" narra che dal 1976 Paolo vaga nelle vigne mettendo nastrini colorati alle migliori viti per selezionare solo i migliori grappoli di anno in anno. Potenza ed eleganza. Equilibrio e Armonia. Finezza e persistenza. Un tripudio, al naso prima e in bocca poi, di sapori tutti ben integrati ma netti e riconoscibili. Amarene, prugne, more e mirtilli. Poi tabacco, sigaro e sentori balsamici di menta, eucalipto e resina di pino a rendere ancor più piacevole il sorso lunghissimo. Entusiasmante.


Paolo quando organizziamo una bella verticale?


La degustazione è proseguita con La Syrah e il Vin santo (trebbiano e malvasia). Eccellenti.


E con una perla. Un nebbiolo in purezza, prodotto dall'azienda del figlio a Lessona. Proprietà Sperino. Una nuova realtà enologica.

Eccitante scoperta. Da approfondire la prossima gita in Piemonte.


Chi viene con me?


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Grazie a:

Paolo De Marchi

Milena Rizzo


Con la Partecipazione di:

@sara_winelover

@astrid_winelover


Fonti:


Video Youtube:

https://youtu.be/IgupP2zc9Jk



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